OLTRE IL SEGNO DELLA STORIA. LA POESIA DI ANTONIO CILLÓNIZ
María Breatriz Lenzi
Antonio Cillóniz (Lima, 1944) parla di sé come di un poeta realista perché impegnato con il suo tempo. Se cogliamo con uno sguardo d'insieme la poesía deI '900 troviamo, assieme alle lotte per le grandi trasformazioni, ripetuti momenti in cui 1'impegno ideologico diventa poetica della consacrazione del reale. Cillóniz, che inizia la sua scrittura negli anni caldi del '68, é anche lui un poeta del reale, ma di un reale sconsacrato.
Contro la bruttezza del mondo industriale, che é alienazione dell'intelletto e della natura, la sua generazione reagisce con la costruzione di una zona di marginalitá, zona esclusa e allo stesso tempo esclusiva. Luso del materiale nella sua rozzezza, la poesía come luogo della lotta di classe, il rifiuto del senso del mondo, e quindi dei valori stabiliti, attraverso un non senso trasgressivo del discorso, la frammentarietá del pensiero al posto della di¬sintegrazione dell'uomo, sono alcuni dei tratti che riscontriamo nei poeti del Perú degli anni X70, immersi nel fuoco della tensione tra le rivoluzioni possibili, per la giustizia sociale, e il sopravvento del maccartismo nei gruppi di potere. All'interno di questa marginalitá - poetica ed esistenziale -, che permette di resistere e lottare, Antonio Cillóniz é un solitario: non solo in quanto s'é mantenuto indipendente dal fare collettivo e ha optato per 1'esilio volontario in Spagna, ma perché accanto a una parola che distrugge dal suo interno la bruttezza, ritroviamo nella sua poesía 1'osservazione della tragedia del reale, intesa come sostanza della natura e, quindi, accanto all'incubo dei mostri della ragione, ci sono le devastazioni, i conflitti, la malattia, la morte.
La sua opera, La constancia del tiempo (Lima, Viva Voz, 1990), raggruppa le poesie scritte tra il 1965 e il 1986 e comprende le raccolte Verso volgare, Dopo aver camminato certo tempo verso l Est, Fardello funebre, Una notte nel cavallo di Troia, La condanna dei fiori, Non troveranno mai le mie labbra. II volume si presenta come un corpus pervaso da una scansione strutturale, opera di un paziente e rigoroso lavoro, di una precisa valutazione dello spazio poetico nella distribuzione e ubicazione delle poesie. Il libro offre - quasi a contrapporsi alía spontaneitá lírica e a demistificare il mestiere di poeta - un itinerario obbligato per il lettore che, paradossalmente, si rivela sconosciuto a ogni poesía, a ogni lettura, come se il bisogno della forma celasse 1'eversione dei contenuti.
La semplicitá del titolo, La constancia del tiempo, nasconde una chiave di lettura dell'intera opera. Constancia prende da consto i significati di costanza, fermezza, permanenza, e di constatazione, conferma, e anche testimonianza. La parola, distolta dalla sua carica segnica, si mueve all'interno di una pluralitá di significati, nello spazio della différence, per dirla derri-dianamente, e fa di sé uno specchio che riflette altro e richiama il senso nei continui rimandi di significati. Gli assi semantici che attraversano la poesia di Cillóniz, racchiusi nella costanza e nella testimonianza del tempo, sono fondamentalmente il rapporto tra il lavoro poetico e la storia.
Da una parte, La constancia del tiempo é il testimone di un lavoro di elaborazione, ricerca e consolidazione. Lo osserviamo, ad esempio, nel confronto con l'edizione del 1975 delle tre prime raccolte apparse sotto il titolo di Los dominios. In essa el par di vedere non una poesia definitiva, ma il materiale - la «materia prima», se si vuole - che, nel 1990, dará vita a La constancia, con una parola saggia, scavata dalla riflessione poetica, uno stil-e sicuro, sereno anche se sempre sconcertante. L'epigrafe di Los dominios, tratta da José Carlos Mariátegui: «Nessuno di questi saggi é concluso: e non lo sará mentre io vivró, penseró e avró qualcosa da aggiungere a ció che da me é stato scritto, vissuto e pensato», puó esaurire il suo atteggiamento nei confronti della poesia e della realtá, che lo separa forse dai suoi coetanei, quello di una costante discussione che spezza ogni possibile ortodossia. II percorso seguito da Cillóniz lo allontana da un radicalismo del linguaggio degli «ismi», ma lo conduce a un altro radicalismo, piú profondo sul piano esistenziale.
La riflessione sul lavoro poetico si manifesta come una dichiarazione, una poetica esplicita, che spiega e si spiega - quasi a frustrare il lavoro del critico -, ma dietro questa cornice di pubblica trasparenza, la poesia permane segreta, da scoprire. Il mestiere del poeta é un lavoro che, a differenza di altri, é fondamentalmente solitario. Lavoro notturno, inquietante e marginale, che implica 1'assunzione della responsabilitá di comunicare, di agire sulla realtá: «Non cercate nel mio canto/ lo splendore dorato/ del sole,/ né il fulgore/ dell'oro in ogni verso./ Troverete soltanto/ acciaio/ che al rosso vivo dura/ quel che la luce di un giorno». L'opera, quindi, é anch'essa testimone dell'impegno con il suo tempo.
L'altra direzione del rapporto tra lavoro e storia si cala nell'idea di costanza, di permanenza. Uno dei temi cari a Cillóniz é la costruzione di analogie all'interno della storia dell'umanitá, intesa, non come concretezza fattuale, ma come comportamento, come luogo dell'etica. La visione che ne consegue é priva d'innocenza. In Una notte nel cavallo di Troia, alcuni grandi fatti della storia universale e della storia della cultura s'intrecciano con l'aneddoto, coi piccoli eventi del vivere, facendo si che le frontiere epocali si sfumino fino a dissolversi. 11 poeta rivisita alcuni temi, come nella poesia Parca: «Se la fame o la peste assediano/ tra i solchi della nostra terra ondulata/ scamperá il piú felice e fortunato di noi./ Ma se la guerra viene in nostro aiuto/ tra i solchi della nostra terra ondulata/ saremmo tutti portati/ alla terra ondulata di altri come no¡/ dove al piú debole terrá sempre compagnia la morte». Probabilmente il poeta darebbe ragione a Borges quando dice che «forse la storia universale é la storia della diversa intonazione di alcune metafore».
In Dopo aver camminato certo tempo verso V Est, il poeta percorre lo spazio americano attraverso la sua storia in permanente confronto tra un passato libero e un presente devastato. Si tratta di un viaggio, in cui non esiste scissione tra realtá e irrealtá, che inizia Al Sud del mondo, includendo il dato autobiografico Fra la casa e il mondo, per concludersi nei Tempi difficili.
La poesia recupera 1'idea della storicitá come sostanza dell'accadere umano, che le permette, non di fare appello alle significazioni implicite nel dato storico, ma di suscitarle, di provocarle. Questa storicitá senza confini richiama 1'idea di mito: «Urep» - anagramma di Perú? -, personaggio di Fardello funebre, alter ego del poeta, che si confonde e si scambia come un sosia, é un viaggiatore che visse e vive il tempo in uno spazio terreno dove genera, emigra, si esilia.
L'uomo concreto, la vittima e il carnefice, il poeta stesso sono segnati da questa storicitá in quanto accerchiati dal limite inesorabile della morte, tragica ma naturale distruzione. Ecco un altro tema che feconda la poesia di Cillóniz: il permanente ricordo della morte, quasi come un memento mor¡, ma di inconfondibile radice profana. L'idea della consumazione (corruzione) della carne, senza speranza e senza possibilitá di una escatologia, nasconde, forse, la disperazione e 1'orrore nella spietatezza naturalistica e nel sarcasmo: «Almeno non potró rubare il cibo/ ai miel vermi».
L'accusa della bruttezza del mondo, la cattiva coscienza della storia é sentita come apocalittica, facendo prevalere I'idea dell'agonia del mondo naturale, la «natura morta» come la chiama il poeta: «II grano/ splendente/ non brilla piú/ ai lati della strada. Tutto/ quanto qui vedete é necropoli/ e non riesco a leggere nascosto/ tra gli sterpi/ nessun epitaffio. 1 bulldozers/ distruggono le cittá/ come quando la rottura della diga/ mise fine allo splendore di Saba».
La politicizzazione non travalica il limite del privato, ma lo invade, la solitudine é 1'angoscia di vivere. L'intimitá - quasi assente, talvolta insi¬nuata - si ripiega in un'interioritá cifrata, in un esilio interiore. L'io del poeta non si spoglia, non si mostra nudo agli occhi del lettore; prende distanza e, come l'obbiettivo di una macchina fotografica, si pone davanti alle cose o le guarda con distacco, con ironia, scongiurando la sua esperienza del dolore in una realtá che ha perso, forse da sempre, la sua sacralitá. 11 linguaggio diventa piú unilaterale, piú asciutto, consapevole del suo sentimento contenuto. Ma non avverte il bisogno di distruggerlo perché puó ancora trovare la bellezza nella congiunzione tra la parola colloquiale, quotidiana, che ha potuto scorgere e apprendere da¡ suoi poeti piú amati, tra cui César Vallejo, Ezra Pound, e soprattutto Bertolt Brecht, e la parola colta, il dato letterario, la tradizione dei classici spagnoli. Forse é questa l'unica sfera possibile di conciliazione spirituale nei confronti di un mondo non piu praticabile.
POESIE DI ANTONIO CILLÓNIZ
(Versione italiana di María Beatriz LENZI)
PER IL NUOVO MONDO
Date al fisico un punto di appoggio e solleverá il mondo. Ma lo spazio che circonda la materia gli dá forma, in modo che possiamo affermare che diventa parte della sua stessa essenza; per cui, in sostanza, avrá scoperto un nuovo mondo.
Date un'áncora di salvezza al naufrago e, aggrappato ad essa, nella direzione che indicheranno i venti o il senso delle onde e la corrente, giungerá a nuove terre. Ma non avrá scoperto soltanto la parte di un tutto, che era ritenuto nulla, ma del tutto stesso e della parte giá conosciuta, perché senza di essa il tutto é una parte e con essa non é piú il tutto.
Date al pensatore o all'artista la possibilitá di disporre liberamente del tempo e avrá spazi per tanti mondi quante spiegazioni di esso voglia dare. Ma come a ogni essere corrisponde un concetto e viceversa, rimarrá loro il dubbio se a quell'essenza corrisponde un'esistenza o, ció che é lo stesso, se é materia o pensiero puro.
Date al contadino la terra dei nuovi mondi che 1'intelletto avrá conquistato affinché possa coltivarla e ci dirá se esistono. Anche se lui ci chiederá quella che giá lavora.
SULLA MATERIA
Se avesse ancora un altro senso crescerebbe il mondo? Anche se non posso indicarle, non esistono forse le stelle che io non vedo? E potrei perfino immaginarle. Eppure preferisco descrivere le uve del grappolo che tu mi offri, dopo averle assaggiate.
–Ma la vigna che tu mostreresti non servirebbe come alimento.
–No. Ma la vigna esiste. E quel che tu temi é che si diffonda.
CANZONE FUNEBRE NELLA VALLE DEL RÍMAC
Ecco La Terra
che gira nuda
su un naso di foca in un circo vuoto
con gli oceani immensi una grande macchia azzurra pallida molto bella
e le linee celesti dei fiumi
o i punti scuri
della sua pelle rugosa,
marrone e sporca. Ecco
che puó essere ormai contemplata dalla Luna o si puó continuare a vederla quaggiú
sdegnosa come una pelle tirata di scimmia che balla sul suo tamburo.
E gli spiriti della montagna
ieri benevoli nella coltura dei cereali fumano sotto le loro ceneri. Il vento soffia dall'Ovest travolgendo il mare
dal cielo che ci cade addosso con uccelli
di pioggia e di piume rosse
contro di no¡: anelli di ossidiana,
collane di denti e argilla sotto le maschere, con specchi di latta, speroni d'argento e neri pennacchi su¡ loro elmi.
Ecco che si calma ora la terra davanti al mare: pozze,
pozzi di petrolio e pescherecci, pellicani morti... e dal mare nemmeno un soffio di vento e brucia
la pelle al sole
come scorpioni cosparsi di kerosene. Disteso accanto alle formiche
e ai piedi della corrente di Humboldt, sto cantando.
PROCLAMAZIONE DELL'INVERNO FRA LE NUBIDEL CIELO PLUMBEO E LE ONDE DELL'OCEANO GRIGIO *
Mare del Sud,
oceano di alghe
e garriti di uccelli.
Neanche piú un indizio
che da queste parti c'é
un paese desolato.
Nemmeno una zolla della terra Mochica dura e secca;
nessun vaso Nazca
o Paracas,
a pezzi rossiccio e giallastro; né un solo huaco Chavín;
neppure Chimú con pesci-serpenti e scolopendre uscendo dal mare a Huanchaco. E arrivano i venti gelidi del Sud con odore di mais bruciato per 1'offerta e colore oro vecchio dei braccialetti e maschere mortuarie per le mummie e sapore di grano funebre.
* In questa poesia Cillóniz fa riferimento alle antiche culture andine dell'epoca pre-incaica. La cultura Chavín (Ancash) si svolse nel periodo, detto di formazione, tra il 1250 a.C. e il primo secolo d.C. All'interno del suo vastissimo spettro di influenza conosciuto come «orizzonte Chavín» si sono sviluppati altri centri, come quello di Paracas nella costa sud. Dal primo.
LONTANANZA
Il sole si addormenta sulle pietre
e sulle piante degli occhi
si posa la rugiada. Ah,
beato te
che ti prepari ad attraversare l'Atlantico per raggiungere l'altra sponda dell'America.
Tutte le sere mi affaccio a salutarti al balcone Ovest della casa
e di buon'ora ti aspetto sulla soglia dell'Est
nel caso ci fossero notizie.
TEMPI DIFFICILI
Non troveranno nessuno
a custodire
1'entrata accanto alla.porta.
Il sentiero sará quasi cancellato
dalle foglie che ormai nessuno calpesta piú. Davanti alle finestre
cespugli
o ragnatele.
E anche se a momenti crederanno di vedere che torna a muoversi la fronda aspetteranno inutilmente
che qualcuno esca dagli sterpi.
secolo fino all'800, chiamato periodo fiorente, sorgono le culture Mochica e Nazca. 11 predominio culturale di quest'epoca appartiene a Tiahuanaco (Bolivia). A partire dall'800 fino circa il 1300 avviene una fase di grande fusione, dove, ad esempio, la cultura Chimú si fonde con quella Mochica fino alla sua incorporazione nell'impero inca del Tahuantinsuyu.
Queste antiche civiltá sono conosciute come le «alte culture» per il grande livello di evoluzione nell'agricoltura, 1'elaborazione dell'oro (anelli, braccialetti) e soprattutto della ceramica. Di esse ci sono pervenuti i vas¡, che ricevono il nome di huacos. Gli huacos Mochica, ad esempio, di colore giallastro e rossiccio presentano raffigurazioni antropomorfiche, quelli Chimú sono dipinti con immagini di serpenti, pese¡ e altri animal¡ sacri, motivi che, piú stilizzati, si ritrovano anche nella cultura Nazca. 11 culto funebre ha nella cultura di Paracas un posto di rilievo caratterizzato da grandi teli lavorati con i quali venivano avvolte le mummie a modo di fardelli (n.d.t.).
IN DIFESA PER L'EUROPA
Beato me
che lascio l'Europa
dove cadono perpetue le nevi
sulle tempie dell'immigrato, ai margini dei diritti perduti
per via della cittadinanza,
sollecitando permessi
di soggiorno
chi fosse grande vassallo
senza avere buon signore
nella Grande Babilonia, Grande Sidone, Grande Tiro, Grande Gadex estesa per tutto 1'orbe.
CARBONIO 14
Gli atomi del mio corpo che provengono da muschio millenario
e da antiche alghe
hanno preso la configurazione che ho adesso
–e finché durerá questo ordine mi diranno che esisto–, sebbene dopo prenderó 1'aspetto di una felce –e allora mi daranno per morto –, quando forse saró riuscito a spuntare tra 1'erba che calpesti
anche se nessuno mi riconoscerá.
DI NUOVO TRA SCILLA E CARIDDI
Non so che cosa cl guadagno con le mie conquiste a costo del mio lavoro. Galeone oscuro navigando verso 1'Oriente
giunse alle stesse isole estranee che Glauco troncó quale vescica galleggiando verso Occidente.
Perché remare
in questo immenso mare
di tempestivi?
COME CONGEDO
Lo spirito, voglio dire il movimento della materia é sfuggito loro dalle dita, dagli occhi dal cervello e le loro membra
rattrappite, paralitiche
come chi implora 1'elemosina degli eroi, il favore degli déi con la mano tesa e alzata contro il cielo.
Le loro bocche sembrano pronunciare una preghiera aperte come una o proprio come un culo, immobili come statue davanti a un cavallo
di Troia omaggio degli déi: mais asciutto, sale bagnato, stoffe nuove che si frantumano al minimo tocco, berretti verdi. Ma lo spirito é loro sfuggito come un fiume da un cielo aperto in tempesta di pioggia e di fuoco tra nuvole che si aprono come fardelli funebri dall'apparenza splendida: mascherine d'oro, braccialetti d'argento,
tuniche di bronzo. Ma sotto puzzano i loro denti marci, magro lo scheletro, giallastro il teschio.
E quale migliore occasione questa per dire addio
alla sua famiglia, ai suoi amici, ma sono giá tutti morti.
NELLA CASA DI PILATO (UN'ALTRA VOLTA)
Ahi dell'arrivo nella partenza
e della sosta nel transito.
Di colui che avanza perché chi é dietro incalza e di colui che incalza per restare indietro. Di colui che scompare senza lasciare tracce e di colui che va lasciando tracce false. Ma ancor di piú di colui che si trascina e c'é sempre
e resta, resta
senza che nessuno se ne accorga.
PROMETEO
Se odii gli déi
perché un giorno ti toglieranno la vita tutta la vita vivrai tormentato. Ma se li ami
perché ti dettero la vita una mattina tutta la tua vita allora vivrai temendo di morire fra i tormenti.
CANTI DI VITA E DI SPERANZA
Ma piú di una rosa
ora
mi evocherá una musa? Quante prose che
non profanarono mai nulla! Preferisco versi oscuri
a una canzone che stupisce perché accompagna il cigno tra singhiozzi e sospiri.
Come un canto errante di finti pavoni.
MI HANNO FERMATO LA VITA
Appendo 1'eternitá a un lato
e alle mie spalle vi lascio 1'infinito. Dio é stato dappertutto
dove io
non sono mai passato.